Con la cadenza stagionale con cui archiviamo zaino e scarpe da trekking per rispolverare sci e scarponi, alternando le nostre frequentazioni dell’alta montagna, anche Turrisbabel ritorna «in quota». Dopo i due numeri dedicati al tema del costruire in montagna (TB #91 Concorsi in alta quota e TB #92 Costruire in alta quota) il primo relativo ai tre concorsi per la ricostruzione di tre rifugi in Alto Adige ed il secondo che raccoglie i contributi dell’International Mountain Summit di Bressanone, siamo tornati in quota a visitare le più recenti realizzazioni.
Gli oggetti che incontriamo salendo e addentrandoci nel cuore delle nostre montagne sono eterogenei e segnano il paesaggio con difformi modalità. Troviamo innanzitutto gli impianti di risalita, che da valle ci permettono senza fatica di arrivare in vetta, infrastrutture che facilitano l’accesso ma la cui presenza emerge in modo evidente con stazioni di partenza e arrivo, tralicci, protezioni ed elementi tecnici. Siamo così saliti sulla nuova funivia che da Alba porta al Belvedere, sulla nuova cabinovia Dantercëpies che da Selva porta al passo Gardena ed infine da Corvara siamo giunti al Piz Boè, dove sono state recentemente rinnovate le strutture ricettive. Progetti che testimoniano una nuova attenzione da parte delle società di impianti nei confronti dell’architettura contemporanea e del rapporto con l’ambiente naturale. Una visita di architettura che si può effettuare senza staccare gli sci dai piedi in quanto tutti collegati alla rete del Sellaronda, che unisce percorsi e visitatori. Salendo invece a piedi abbiamo incontrato piccoli manufatti come ponti e passerelle, punti panoramici e strutture tecniche, oggetti di limitate dimensioni ma che puntualmente ed in modo diffuso evidenziano la presenza antropica sulla montagna. Arrivati in quota abbiamo visitato il nuovo Messner Mountain Museum di Plan de Corones, diventato ora punto di attrazione e méta della salita per molti visitatori, complice l’abbinata dei nomi illustri legati al progetto ed alla gestione: Zaha Hadid e Reinhold Messner. Con un po’ più di fatica siamo infine giunti al rifugio Ponte di Ghiaccio, inaugurato a metà settembre, primo dei tre rifugi oggetto del concorso indetto dalla Provincia Autonoma di Bolzano nel 2008. Possiamo quindi riposarci in questo luogo di accoglienza, protezione e punto d’arrivo del nostro peregrinare, per riflettere nuovamente sul tema.
I progetti che abbiamo visitato in questo numero sono collocati tra i 2.190 e i 2.545 metri, non si tratta quindi di una montagna estrema ma accessibile senza particolari difficoltà. Una montagna infrastrutturata ed antropizzata, dove però la natura riesce comunque a prevalere. Le forme delle rocce e dei massicci segnano il paesaggio diventando riferimenti certi ma mutevoli se visti da differenti posizioni. I panorami mozzafiato catturano la nostra attenzione portando lontano il nostro sguardo e le nostre emozioni. Le condizioni di luce rendono le pareti rocciose continuamente cangianti, sfiorate dai primi raggi di sole all’alba, abbagliate dalla luce piena del giorno che con le ombre ne mette in evidenza le forme, tinte di rosso infuocato al tramonto, con «l’enrosadira» che trasforma la roccia in mito. Se però guardiamo questi panorami attentamente, con un po’ di cinico disincanto, oltre alle meraviglie della natura notiamo anche numerosi manufatti di vario genere e dimensione, vediamo l’impronta nei boschi delle piste da sci, percepiamo insomma i segni della nostra presenza. La montagna è infatti per noi anche economia, è ciò che «vendiamo» per il nostro sostentamento. Qui entra in gioco una contraddizione, che è alla base delle molte polemiche che periodicamente i media alimentano tra i puristi della montagna ed i suoi pragmatici «sfruttatori». Esiste un limite allo sfruttamento del patrimonio naturale? Una risposta convincente e provocatoria ce la dà Reinhold Messner che nella nostra intervista afferma che non vi è differenza tra tagliare un bosco per realizzare un pascolo o per realizzare una pista da sci! Entrambi sono interventi legati all’economia della montagna. Un’economia forse diversa ora rispetto ad altre epoche, ma comunque un attività sincera che si può attuare trovando un possibile, ancorchè giusto, equilibrio con l’ambiente. In effetti lo stesso termine «industria del turismo» evoca uno sfruttamento intensivo del territorio. Un esempio emblematico lo si può trovare salendo in cima a Plan de Corones, dove sono presenti le stazioni di arrivo di otto impianti, alcuni rifugi ed ulteriori attrezzature tecniche necessarie per il mantenimento delle piste. Le strutture sono quindi dimensionate per soddisfare una domanda determinata dalla portata degli impianti, le stesse strutture ricettive hanno un carattere di mall commerciale più che autentico rifugio alpino. Non è un caso infatti che i cannocchiali del museo di Zaha Hadid volgono le spalle alla sommità e mirano il paesaggio circostante. Posto quindi che per sfruttare economicamente un luogo sono necessari interventi di trasformazione, quale atteggiamento dobbiamo assumere? Forse tra il tentativo di «nascondere» tali funzioni costruendo volumi interrati ricoperti da un strato di terra per dare la falsa percezione di trovarsi in un territorio intatto ed il più coraggioso approccio di mettere in evidenza i nuovi interventi puntando però sulla qualità architettonica degli stessi avendo cura di dare dignità ad ogni manufatto, indipendentemente che si tratti di un rifugio, un impianto di risalita o una centralina elettrica, sembra più coerente ed onesto questo secondo approccio. Pensiamo a ciò con la consapevolezza che la prima nevicata rende tutto più uniforme ed omogeneo, smussando forme, spigoli e cromatismi.
Serve quindi una nuova consapevolezza che ci aiuti a superare la visione eccessivamente romantica di chi considera uno scempio la necessaria sostituzione di un vetusto rifugio con una struttura dal carattere più tecnico e contemporaneo, ma non nota la realizzazione di un nuovo resort su un passo dolomitico. Un cambio di paradigma che ci permetta di concepire la rete di impianti a fune non solo come strumento privato di sfruttamento turistico progettato con l’obiettivo di servire singole aree sciistiche, ma come possibile sistema di trasporto alternativo seguendo la traccia del progetto utopico che Gio Ponti già negli anni quaranta proponeva per unire attraverso gli impianti a fune Bolzano con Cortina. Una nuova visione quindi per una costruzione consapevole del prossimo futuro. La montagna intanto ci osserva impassibile, dall’alto verso il basso, certa di sopravvivere alle nostre ansie
e preoccupazioni.
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 103_ 11|2016