Con questo numero Turrisbabel allarga lo sguardo, provando a mettere a confronto le pratiche del costruire di cinque regioni Alpine: Trentino, Alto Adige/Südtirol, Tirolo, Voralberg e Grigioni. Si tratta di uno sconfinamento territoriale, seguendo l'asse nord/sud, ma di fatto non di uno sconfinamento culturale viste le relazioni storiche ed attuali tra questi territori. Fare sintesi delle diverse culture e lingue che caratterizzano queste aree: tedesca, italiana e ladina è di fatto ciò che accade quotidianamente a chi si occupa di Alto Adige. Cercare l’oltre non è quindi una novità per Turrisbabel, il tema del confine politico, per la nostra rivista e più in generale per l'architettura, non è un tema. Pur concentrando l'attenzione su ciò che accade nella provincia di Bolzano, in molte occasioni abbiamo infatti cercato di guardare e riflettere su ciò che accade nei territori limitrofi, consapevoli delle naturali e reciproche influenze tra chi pratica la nostra professione in territori con caratteristiche geomorfologiche e culturali simili. Il confronto non è però una mera curiosità ma bensì una reale necessità che ci permette di riferire il nostro operato a ciò che accade in un contesto più ampio, facendo tesoro delle esperienze positive altrui e promuovendo le nostre in uno scambio che porta, o dovrebbe portare, ad un arricchimento reciproco. Grazie alla collaborazione di Eurac Research, e della Ripartizione Natura paesaggio e sviluppo del territorio della Provincia Autonoma di Bolzano, che hanno sviluppato una ricerca sulla “Architectural governance” di queste realtà, abbiamo potuto interrogarci su quale sia il senso e la consapevolezza della cultura del costruire nei territori alpini e più in generale quale sia il ruolo dell'architettura nella nostra società. Partendo dalla valutazione di un campione significativo di operatori, lo studio tenta di comprendere se vi sono relazioni dirette tra le politiche urbanistiche e le evidenze della trasformazione del territorio. Preso atto della difficoltà di chiarire oggettivamente ciò che il termine Baukultur, cultura del costruire, definisce visto che l’abuso di tale termine e più in generale del termine cultura tende a contenere tutto ed allo stesso tempo di svuotarlo di significati, come spiega bene Arno Ritter nel suo articolo, rimane che il legame tra costruire e cultura è un fatto importante e irrinunciabile. Qualsiasi azione di trasformazione del territorio deriva da una stretta relazione tra chi quel luogo lo abita, lo vive e lo sfrutta ed il luogo stesso. Ciò è sempre avvenuto nella storia, infatti i paesaggi costruiti o trasformati dall'uomo sono per noi assimilati come "naturali". Questo perché frutto di una cultura empirica di utilizzo delle risorse trovate in loco. La realizzazione di un terrazzamento per sfruttare al meglio il terreno per la coltivazione o di un muro a secco per contenere o delimitare un lotto sono state possibili grazie ad un affinamento della tecnica definita per tentativi. Ciò è avvenuto anche per il patrimonio di costruzioni in legno o pietra, che si sono evolute ed adeguate al lento progresso della tecnica. È quindi certo che le modalità “tradizionali”, altro termine ambiguo, di insediamento sono frutto di un processo di comprensione ed adeguamento al territorio e quindi hanno definito la cultura del costruire storica di quel luogo. Ma possiamo ritenere che oggi accada lo stesso? Vi è una cultura del costruire unanimemente riconosciuta come patrimonio comune, o ciò che intendiamo per “Baukultur” è solamente una visione soggettiva, e quindi un punto di vista singolare? Quello che noi osserviamo e promuoviamo con la nostra rivista come architettura di qualità, è un eccezione rispetto alla mole della produzione edilizia di un territorio o è semplicemente la punta dell’iceberg, ovvero la parte più evidente di un substrato di qualità diffusa riconoscibile in tutte le costruzioni? Difficile dare risposta. Certo è che come, dimostra lo studio di Eurac, non vi è una relazione semplice e diretta, un chiaro rapporto causa - effetto, tra le politiche urbanistiche, le norme architettoniche ed un tessuto costruito di qualità. La volontà di normare, programmare e controllare porta spesso a creare ostacoli e mortificare la creatività, mentre fissare pochi e chiari criteri, assimilati e condivisi da tutti può rendere il processo più fluido e portare a risultati migliori. Però non ci sono ricette. Alla fine rimane in capo a noi, alla nostra responsabilità di architetti, ed anche a quella dei nostri committenti, saper essere costruttori di buone opere ma allo stesso tempo anche costruttori di cultura.
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 104_ 12|2016