Apparteniamo a luoghi dove l’orizzonte è occupato da pendii, boschi e rocce. Luoghi dove la morfologia e la quota del territorio limitano considerevolmente lo spazio antropico, portando l’uomo a misurarsi con condizioni avverse sperimentando nel corso del tempo le modalità con cui insediarsi. Luoghi allo stesso tempo drammatici e straordinari dove le risorse naturali offrono opportunità ma richiedono rispetto. Questo sono le Alpi. Una scogliera segnata da solchi ed accidentalità, attraversata da valichi che uniscono mondi oggi sempre più uguali. Un territorio risultato da un lento e lungo processo di stratificazione, che durante le ere geologiche ha sedimentato la struttura mentre in tempi più recenti ha depositato quelle tracce e mutazioni che ancora oggi cerchiamo di comprendere ed interpretare. Le Alpi «come palinsesto», parafrasando la felice intuizione di André Corboz, costituiscono quindi un tessuto di riferimento sovraccarico di segni, dove la forza di ciò che unisce rende evidenti le peculiarità che contraddistinguono ogni singola porzione di territorio. Pur trattandosi di un contesto antropizzato solo in minima parte, ed occupato perlopiù da montagne e foreste, le Alpi non sono però scevre dalla complessità che caratterizza le realtà urbane, dove alle trasformazioni naturali si sommano gli interventi dell’uomo finalizzati ad utilizzare e sfruttare le risorse che il territorio offre per il proprio sostentamento e profitto.
Per indagare queste realtà, cercando di cogliere quelle minime differenze o similitudini che i diversi contesti alpini presentano, Turris Babel ospita i risultati della «rassegna Architettura Arco Alpino», primo progetto dell’Associazione Architetti Arco Alpino, costituita a marzo del 2016 dagli Ordini degli Architetti PPC della Valle d’Aosta, Belluno, Bolzano, Cuneo, Novara e Verbano-Cusio-Ossola, Sondrio, Torino, Trento e Udine. Sono queste province dove tutto è montagna a differenza di altre realtà dove la montagna è considerata periferia. L’obiettivo è quello di promuovere il confronto tra i diversi approcci al progetto, i condizionamenti ambientali e culturali, le differenti relazioni tra l’uomo ed il paesaggio che caratterizzano i territori delle Alpi. Allargando lo sguardo lungo l’asse est-ovest lungo il quale si sviluppa l’arco alpino, cerchiamo quindi di leggere le Alpi attraverso le più recenti realizzazioni, capaci di esprimere non solo la qualità dell’architettura ma anche di interpretare lo spirito dei luoghi.
Non é però facile guardare questi paesaggi liberi dai condizionamenti costituiti dall’immagine idealizzata della montagna. La costruzione del paesaggio alpino, come evidenzia in modo esemplare Antonio De Rossi nei due recenti volumi la costruzione delle Alpi, prende avvio con i primi tentativi di conoscenza scientifica delle Alpi le quali si configurano progressivamente «come una sorta di mito permanente, di polo dialettico dai caratteri arcaici e tradizionali». In questo processo di mitizzazione si inserisce il consolidamento di una visione pittoresca dei territori alpini, dove anche l’architettura subisce gli stessi effetti di idealizzazione. È evidente l’esempio del modello dello Châlet svizzero che ha rappresentato, e rappresenta tutt’ora, un riferimento nato inizialmente per standardizzare una determinata idea di montagna e trasformatosi successivamente come immagine di un prodotto da vendere al turista. I territori alpini sono però stati allo stesso tempo anche luoghi di sperimentazione e innovazione, basti pensare all’effetto dell’introduzione di nuove funzioni come sanatori o grandi alberghi nel primo novecento, terreni di libera espressione del moderno. Nonostante il carattere unitario ed i modelli di riferimento comuni, le Alpi presentano però condizioni e peculiarità che differenziano ogni singola valle che nel proprio isolamento costituisce sempre un mondo a sé. Ciò è particolarmente evidente se, risalendo le valli e passando di paese in paese, cerchiamo di percepire le minime varianti degli idiomi linguistici, italiano, tedesco, francese e ladino utilizzati nei territori alpini. Sono queste le differenze ed i contrasti che possiamo cogliere anche osservando i ventidue progetti che la giuria della rassegna Architetti Arco Alpino, composta da Sebastiano Brandolini, Quintus Miller e Bernardo Bader, ha selezionato tra i duecentocinquanta progetti inviati dai colleghi che hanno realizzato opere nei territori italiani compresi nell’areale della convenzione delle Alpi, completate tra il 2010 e 2016. Diversi temi progettuali, diverse tecniche costruttive, diversi atteggiamenti rispetto a realtà dove avvengono fenomeni contrapposti: da una parte l’abbandono della montagna e quindi la necessità di recupero e riqualificazione dei borghi degradati, dall’altra parte la necessità di porre un freno al nuovo rappresentato dall’espansione delle seconde case e delle infrastrutture realizzate per soddisfare la pressante domanda del turismo di massa. Tra questi livelli estremi si pone la cultura della montagna, dove la realizzazione di opere pubbliche e private non prescinde dai condizionamenti del contesto ma anzi ne coglie l’essenza e la esprime coerentemente in una nuova architettura.
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 105_ 03|2017