Viviamo nelle nostre case con la consapevolezza che loro ci sopravvivranno. La vita di un edificio è infatti, salvo casi eccezionali, più lunga della vita di un uomo.
Noi siamo quindi degli abitanti temporanei, che lasciano una traccia del proprio vissuto nei luoghi e negli spazi che sono stati il nostro rifugio per un determinato lasso di tempo. Tale sensazione risulta ancora più evidente se abitiamo un edificio antico, sia esso un maso isolato o un palazzo del centro storico di un paese o una città. Spesso si tratta della casa di famiglia dove sono nati e vissuti i nostri avi, ognuno dei quali ha lasciato una traccia che a volte riconosciamo. Altre volte invece ciò che percepiamo come valore storico ed affettivo non è il singolo segno ma l’insieme delle tracce, sovrapposte e irriconoscibili, che testimoniano appunto il passare del tempo.
È con un certo pudore che andiamo ad abitare nella casa dei nonni, o in quella dei nostri genitori, con la voglia di rinnovare ed adeguare gli spazi alle nostre esigenze ma allo stesso tempo con il timore di cancellare elementi che fanno parte della nostra memoria. Anche nel caso in cui non abbiamo avuto relazioni con i precedenti abitanti stiamo comunque attenti agli elementi che individuiamo come testimonianze del passato, e con molta cautela li reinterpretiamo o valorizziamo secondo il nostro gusto e sensibilità.
Se allarghiamo lo sguardo è evidente che questo atteggiamento non è rivolto solamente al singolo manufatto, ma all’insieme del patrimonio storico. Non si tratta evidentemente solo di una questione singolare e personale, il patrimonio costruito rappresenta una testimonianza tangibile e fisica di un’epoca ed è quindi un’eredità collettiva, di un’intera comunità. I monumenti più importanti costituiscono ovviamente le emergenze, le eccezioni, ma l’intero corpo di un centro storico assume valore proprio per la sua unitarietà, indipendentemente dalla qualità dei singoli manufatti.
I nostri interventi di modifica, trasformazione, ampliamento, non sono quindi altro che ulteriori stratificazioni sul tessuto urbano o sulle strutture e finiture delle singole abitazioni. Anche noi aggiungiamo la nostra parte, personalizzando le case per adattarle alle nostre esigenze ed al nostro gusto, consapevoli che qualcuno ci succederà e potrà apprezzare, valorizzare o anche cancellare i segni che noi abbiamo aggiunto.
La trasformazione risulta ancora più evidente se gli interventi prevedono un cambio d’uso, da casa singola ad abitazione collettiva, da struttura agricola a struttura ricettiva. È stato così che parte del patrimonio rurale è diventato struttura turistica, anche a causa di un cambio radicale nello sfruttamento di un territorio come il nostro, dove in effetti i fienili dismessi sono rimasti spesso abbandonati o ampliati e trasformanti per soddisfare nuove funzioni. Forse si tratta di un fenomeno ciclico, ad una fase di veloce sfruttamento e consumo di suolo segue una fase di consapevolezza che orienta verso azioni di rigenerazione urbana e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, seguendo una vitale attività di costruzione e ricostruzione.
Questo flusso della storia, vissuto attraverso le trasformazioni del costruito, a volte viene drammaticamente interrotto. Una frana o un terremoto possono, come è purtroppo recentemente successo, cancellare oltre alle persone anche un patrimonio privato e collettivo fatto di edifici ma anche di spazi. Una cancellazione della memoria che difficilmente si può ricostruire.
A noi rimane però il compito di continuare a tracciare le nostre storie, sovrapponendole a quelle altrui o, nel caso della realizzazione di una nuova casa dove siamo noi i primi abitanti, scrivere su una pagina bianca dove altri poi continueranno a scrivere.
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 106_ 07|2017