Ognuno di noi ha iniziato da bambino. Un foglio di carta, le matite colorate o i colori a cera, e via con i primi scarabocchi pasticciati pieni di colori che a volte violavano i confini del foglio finendo sul tavolo o sulla tovaglia. Erano segni poco comprensibili ma che nella nostra fantasia potevano rappresentare molte cose: un cielo, un prato, un bosco, una casa, la mamma. Poi quei segni sono diventati via via più chiari e abbiamo «imparato» a disegnare. Chissà se l’educazione scolastica e i modelli che abbiamo potuto seguire ci hanno condizionato eccessivamente, uniformando in qualche modo le modalità di disegno, anche se comunque il tratto e la fantasia dei soggetti rappresentati rimangono una cosa intima e strettamente personale.
Qualcuno ha poi continuato ad esercitarsi ed usa il disegno anche per lavorare. È questo il nostro caso. L’architetto dà forma alle proprie idee attraverso un tratto grafico. Le nostre mani creano volumi, forme, immagini di ciò che diventerà poi architettura. La generazione di un’idea è stata per molto tempo questo: prendere in mano una matita e su un foglio o un sotto lucido tracciare dei segni che un po’ alla volta definiscono e chiariscono ciò che vogliamo costruire, per rispondere alle richieste ed esigenze dei nostri committenti. Oggi però è ancora così? I nativi digitali hanno bisogno di muovere le mani, di passare e ripassare un segno più volte per comprenderne il senso o per affermarne l’importanza? L’utilizzo di una tavola grafica di fatto non è completamente distante dall’utilizzo di un foglio di carta e di una matita. Il dubbio sorge però nei confronti di chi utilizzando un cad per tracciare i primi segni di un progetto sembra perdere quella capacità istintiva di tracciare un segno a mano, dosando la forza e la velocità a seconda del supporto e dello strumento utilizzato per disegnare. Si tratta di una modalità che dagli uomini delle caverne si è tramandata fino ad oggi, ma in futuro sarà ancora così?
Rispetto alle diverse e sempre più raffinate modalità di rappresentazione grafica delle nostre architetture nella loro versione definitiva, lo schizzo continua ad avere un ruolo fondamentale perché costituisce allo stesso tempo qualcosa in meno e qualcosa in più. In pochi tratti grafici possiamo esprimere sinteticamente idee e concetti cogliendo quegli elementi essenziali ed irrinunciabili che rappresentano gli aspetti fondanti del progetto. Abbiamo tutti in mente i disegni di Le Corbusier o di Alvaro Siza, maestri nella capacità di sintesi sia degli elementi delle architetture visitate che del senso dei propri progetti. Guardando i loro schizzi risulta evidente che la chiarezza del disegno rispecchia la chiarezza che abbiamo, o dovremmo avere, nella nostra mente.
A prescindere dalle capacità tecniche le nostre mani producono comunque innumerevoli segni. Succede infatti che le mani generino disegni quasi da sole. Quando siamo ad un incontro o una conferenza in cui prendiamo degli appunti spesso disegnamo qualche cosa, dal più banale e paranoico riempimento dei quadrati del foglio a disegni più definiti, in base alle nostre capacità o anche alla noia della riunione. Facendo parte di una commissione edilizia dove era in esame un suo progetto ho avuto occasione di chiedere a Mario Botta ragione della ricorrenza e riconoscibilità delle forme che lui usa nelle sue architetture. Botta mi rispose che quelle forme non erano nella sua testa o nella mente, ma bensì nelle sue mani. «Quando inizio un progetto, quelle sono le forme che escono dalle mie mani». C’è quindi qualcosa che non appartiene alla nostra mente ma è patrimonio delle nostre mani? Effettivamente le nostre mani sono a volte più veloci delle nostre menti, e così mentre cerchiamo di individuare un’idea, una soluzione architettonica che fatica a definirsi, le nostre mani iniziano a tracciare delle linee che sintetizzano alcuni elementi del contesto o che iniziano a definire uno spazio o una forma che costituisce un limite al nostro campo d’azione.
Nella definizione di questo numero di Turris Babel ci siamo chiesti se l’irrompere del digitale abbia modificato questa prassi. Se i futuri architetti saranno davvero diversi dalle generazioni che li hanno preceduti. Ora disegnamo al computer, spesso direttamente in 3D, ma molti di noi iniziano ancora e comunque dando forma con le mani ai primi schizzi, che permettono una maggiore sintesi per esprimere un concetto. Anche nelle fasi successive spesso si stampa una prima bozza e a più mani si tracciano linee necessarie per discutere e convincersi dell’idea.
Lo stimolo per effettuare questa indagine, non a caso, è arrivato da un artista: Paul Thuille che con le proprie mani traccia disegni su pareti e superfici edilizie rappresentando dettagli o spazi architettonici.
Abbiamo chiesto ai colleghi della nostra provincia di inviarci i loro disegni, specificando che ciò che ci interessava non era il «bel disegno» e quindi una dimostrazione della propria capacità tecniche e artistiche, bensì ciò che corrisponde alla generazione dell’idea, alla genesi del progetto. Abbiamo ricevuto molti contributi e non è stato quindi facile effettuare una selezione. Per questo ci siamo affidati alla sensibilità artistica di Paul Thuile per riuscire a costruire una successione articolata di stimoli grafici. Oltre agli schizzi dei progetti sono pervenuti anche numerosi disegni di viaggio che meriterebbero un capitolo di ulteriore approfondimento. Alcuni disegnano su fogli, carte, stampe e qualsiasi supporto possibile. Altri raccolgono i propri pensieri in quaderni che nel tempo vengono gelosamente conservati come testimonianza di una vita di lavoro e di passione. Per completare il numero abbiamo voluto coinvolgere nel progetto anche le aziende che ci sostengono con il loro contributo economico. Un gruppo di studenti coordinati da Paul Thuile ha ridisegnato «a mano» le pagine pubblicitarie testimoniando un coinvolgimento delle aziende che di fatto sono parte attiva nella realizzazione di architetture di qualità.
Con questo numero vogliamo quindi riporre l’attenzione sul fondamentale ruolo e senso del disegno, che Alvaro Siza in un suo saggio ha chiaramente definito: «Il disegno è una forma di comunicazione con l’io e con gli altri. Per l’architetto, è anche, tra i tanti, uno strumento di lavoro, una forma per apprendere, comprendere, comunicare, trasformare: una forma di progetto».
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 114_ 09|2019