Con la stessa certezza del susseguirsi delle stagioni, abbiamo avuto fino ad oggi la sicurezza dei tempi della scuola. Ogni autunno riprende l’anno scolastico e si ritorna in classe, mentre all’inizio dell’estate arriva «finalmente» la fine delle lezioni e iniziano le vacanze.
In questo particolare momento storico però, la pandemia che ha coinvolto indistintamente tutti i paesi del mondo mette a dura prova questa certezza. La scuola ricomincerà? Quando? In che modo? Gli studenti potranno ritornare in classe o dovranno rimanere a casa e seguire le lezioni a distanza? Diventa quindi difficile prevedere oggi quale possa essere l’evoluzione dei progetti didattici e di conseguenza anche la trasformazione degli spazi della scuola. Questo eventuale cambiamento risulta ancora più difficile da immaginare se pensiamo che la più avanzata ricerca contemporanea tende a favorire l’utilizzo di spazi ibridi, luoghi di condivisione e socialità, rispetto al consueto e superato schema di distribuzione e organizzazione didattica frontale. Oggi, le condizioni dettate dall’emergenza sanitaria ci portano ad invertire la rotta. Ciò che va evitato è proprio il contatto tra gli studenti. Ingressi autonomi, entrate scaglionate, spazi separati e attività per gruppi limitati. Sarà questa solo una fase di sospensione delle nostre «normali» condizioni di vita, di studio e di lavoro o sarà invece un momento di crisi che porterà a nuove e diverse modalità di relazione tra le persone?
Quello che però può continuare a costituire una certezza è il fondamentale ruolo dell’esperienza dello spazio. In particolare per i luoghi che frequentiamo e viviamo nella fase della crescita e dell’educazione. In questo senso l’edificio scolastico non può essere considerato un mero contenitore ma bensì un sistema di spazi che concorrono all’educazione diventandone quindi parte attiva.
Per avere conferma di ciò, possiamo ripensare alla nostra esperienza personale ricordando la nostra scuola: il campo da gioco nel cortile, l’ingresso, il corridoio, l’aula, il banco, i compagni di classe, le maestre ed i maestri … basta chiudere gli occhi e i ricordi riaffiorano all’istante. Si tratta della memoria di un’importante fase della nostra infanzia svolta all’interno di un edificio scolastico, dove abbiamo imparato quella bellissima cosa che è la lettura, abbiamo imparato a scrivere e ad esprimere i nostri pensieri, abbiamo imparato a conoscere altre persone, a stringere importanti amicizie, insomma a vivere. Lo spazio dove questo è avvenuto non è stato indifferente. La forma e la dimensione dell’edificio nel suo complesso, come anche la configurazione della distribuzione interna hanno contribuito a trasmetterci delle sensazioni che sono state propedeutiche alla nostra formazione.
È per questo che ritengo il tema progettuale degli edifici scolastici un paradigma per l’architettura, in quanto esprime in sé molti aspetti legati all’esperienza dello spazio e alla capacità di apprendimento. Non solo, questo tema progettuale evidenzia la particolare responsabilità, morale e civile, dell’architetto nell’effettuare scelte formali ed estetiche per una struttura destinata ad ospitare innumerevoli persone in un’importante fase della crescita. Intere generazioni di studenti passano, infatti, alcuni anni della propria vita dentro l’edificio scolastico del proprio paese o della propria città. Una sorta di fase di convivenza forzata dentro un edificio, dove appunto la qualità e vivibilità della struttura hanno un ruolo determinante. La consapevolezza di queste motivazioni ha fatto sì che vi sia stata, negli ultimi decenni, una particolare attenzione al tema ed anche un’approfondita ricerca per la definizione di nuovi piani pedagogici capaci di mettere in discussione e di superare il vetusto schema di organizzazione frontale della didattica, tendendo a favorire il coinvolgimento di tutti gli spazi per una didattica non più gerarchica ma «orizzontale». Questa rivoluzione ha cambiato radicalmente l’organizzazione della scuola, le aule sono ora aperte, trasparenti, mobili, riconfigurabili. Gli studenti si muovono, cambiano locali durante il giorno, lavorano nei laboratori, usano tutti gli spazi della scuola non solamente una singola aula. Le tecniche stesse di insegnamento sono cambiate, sono ora più interattive e stimolanti, in un’evoluzione della ricerca che si riferisce a modelli didattici di diversa ispirazione.
Tra i territori dove all’evoluzione dei concetti pedagogici è seguita una coerente ricerca architettonica, vi è l’esperienza decennale della Provincia di Bolzano che ha compiuto un percorso virtuoso investendo energie e risorse in un particolare sforzo di rinnovamento dell’edilizia scolastica, fortemente sostenuto dalla politica provinciale. Attraverso lo strumento del concorso di progettazione, già dall’inizio degli anni ’80, ma poi con maggiore diffusione negli ultimi decenni, sono stati realizzati numerosi nuovi istituti scolastici di diverso ordine e grado, capaci di interpretare concetti didattici innovativi. Vi è quindi ormai una «tradizione» progettuale che è maturata registrando i continui aggiornamenti delle modalità di insegnamento. In realtà vi è stata una prima fase in cui al progettista veniva lasciata maggiore libertà, tra cui anche quella di definire un concetto spaziale rispetto alle schematiche richieste del bando, fino ad avere invece oggi una più strutturata definizione delle esigenze definite da approfonditi piani didattici. Un’attenzione che, oltre ai centri maggiori, la Provincia ha rivolto in particolare alle scuole di paese che sono diventate il perno attorno a cui organizzare una serie di funzioni che travalicano quelle esclusivamente educative. Alla scuola si sono affiancate la biblioteca comunale, la palestra-teatro, i laboratori o gli spazi delle associazioni. Nei piccoli centri, prima ancora che nelle città, la scuola ha smesso di essere un luogo recintato, segregato, ad uso esclusivo di una parte circoscritta dei suoi abitanti che la frequentano – bambini, insegnanti, genitori – per diventare invece uno spazio aperto, intrecciato con la vita del paese, quasi l’edificio pubblico per eccellenza della comunità. Questo arricchimento funzionale è stato progressivo, di concorso in concorso ha costretto gli architetti ad abbandonare modelli tipologici preconfezionati, ad abbandonare l’idea anche metaforica della scuola isolata in un’area per «attrezzature collettive», a non concepirla come edificio specializzato ma a considerarla parte, anche a livello di linguaggio architettonico, dei micro tessuti urbani dei paesi in cui si inseriscono e di cui costituiscono spesso l’edificio di più grande dimensione. Questo processo non nasce dal nulla. Deve molto ad un atteggiamento che caratterizza l’architettura sudtirolese già a partire dagli anni 70’ e 80’ attraverso la volontà degli architetti di assegnare all’edificio scolastico una funzione urbana.
Risulta invece più recente la ricerca che coinvolge l’organizzazione degli spazi interni. La riscrittura delle norme per l’edilizia scolastiche nel 2009 da parte della Provincia concede alle singole scuole una maggiore libertà nell’articolazione e definizione dei suoi bisogni spaziali, costringendole alla definizione di specifici concetti pedagogici. Inoltre, l’azione di alcuni dirigenti scolastici, tra i quali Josef Watschinger merita senz’altro una menzione particolare, così come l’interesse della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bolzano per lo spazio didattico, nel lavoro svolto in questi anni da
Beate Weyland, spingono, sul finire del primo decennio del nuovo secolo, architetti e pedagoghi a confrontarsi tra loro. Un incontro riassunto nei due numeri della nostra rivista (TB 93 e 97) in cui insegnanti, pedagogisti, amministratori, alunni e architetti parlano di scuola e spazio.
I frutti del lavoro della rete «spazio e apprendimento», network inter-istituzionale che connette tutti gli attori del mondo dell’architettura scolastica in Alto Adige, si vedono immediatamente nei nuovi bandi che verranno pubblicati dopo il 2010. Esemplare è quello per la nuova scuola di San Martino in Val Casies definito con la regia di Josef Watschinger, con il coinvolgimento degli insegnanti e degli abitanti del paese da cui nasce un programma funzionale in cui non si trovano aule ma «case dell’apprendimento», l’atrio è la «casa per tutti», e la biblioteca diventa la «casa del libro» attraverso cui tutti dovrebbero passare. Per la prima volta gli architetti sono stati costretti a dar corpo non a semplici dimensioni planivolumetriche ma a pensieri, a descrizioni di momenti educativi, a sensazioni spaziali.
Per documentare questo processo di evoluzione formale e concettuale degli edifici scolastici in Alto Adige presentiamo in questo numero, oltre ad alcuni recenti progetti tra cui quello della scuola di San Martino appena inaugurata, un atlante con una selezione di 28 scuole, realizzate perlopiù attraverso concorsi di progettazione, ritenute esemplari testimonianze del cambiamento in atto. La loro localizzazione in una mappa è, di fatto, una sorta di invito e guida alla visita per verificare personalmente i risultati della ricerca didattica e architettonica contemporanea. Questo corpus di progetti può costituire un riferimento necessario per comprendere insieme quale potrà essere il futuro della scuola. Ci dovremo incontrare, almeno virtualmente, e misurare con qualcosa che ancora non conosciamo per dare forma a nuovi concetti funzionali, nuove architetture, avendo in mente il fondamentale ruolo dello spazio del sapere
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 119_ 10|2020