Per leggere e interpretare i diversi paesaggi che compongono l’arco alpino abbiamo indagato innanzitutto l’architettura. La prima rassegna «Architettura Arco Alpino 2016» (Turris Babel #105) aveva infatti l’obiettivo di comprendere attraverso i linguaggi del contemporaneo quali fossero le dinamiche in atto nella porzione italiana dei vasti territori alpini. Abbiamo potuto verificare come, attraverso le diverse declinazioni dei temi progettuali, vi fosse una costante e diretta relazione tra le nuove soluzioni proposte e le peculiarità costruttive dei differenti territori. Nonostante fossero evidenti i macro effetti dei fenomeni sociali ed economici che caratterizzano buona parte dei territori alpini, le nuove architetture selezionate nella rassegna evidenziavano quella ricchezza di micro variabili corrispondenti alle caratteristiche costruttive e di insediamento dei differenti luoghi.
Nelle successive «giornate di Borca» la selezione di progetti è diventata pretesto per approfondire l’indagine attraverso tre filtri tematici: l’alta quota, la città alpina e le infrastrutture.
Ora con questo secondo progetto «Attraverso le Alpi», l’associazione Architetti Arco Alpino – composta dagli Ordini degli Architetti PPC di Aosta, Belluno, Bolzano, Cuneo, Novara e Verbano Cusio Ossola, Sondrio, Torino, Trento, Udine e Vercelli – promuove un ulteriore livello di lettura. Grazie al lavoro del collettivo Urban Reports abbiamo cercato di indagare gli usi e le conseguenti trasformazioni dei paesaggi delle Alpi. Non si tratta quindi solamente di prendere in considerazione alcuni esempi particolarmente virtuosi, ma di leggere le «normali» modalità di utilizzo e sfruttamento dei territori che testimoniano la relazione dialettica ed evolutiva tra l’uomo e l’ambiente in cui vive.
L’approccio al lavoro non poteva però prescindere dalla consapevolezza che i territori attraversati costituiscono di fatto un «Paesaggio Culturale». L’antropologo Annibale Salsa ci ricorda infatti che per il contesto alpino, a parte i territori oltre il limite dei boschi, parlare di paesaggio naturale è una «forzatura semantica». Viviamo ed abitiamo in un contesto trasformato dall’uomo quindi ci riferiamo ad un «Paesaggio Culturale» (Annibale Salsa, I paesaggi delle Alpi, Donzelli editore 2019). Il paesaggio alpino è effettivamente un paesaggio antropizzato, addomesticato. Oltre ai centri abitati ed alle infrastrutture, risulta evidente che anche i terreni coltivati, i terrazzamenti, i prati e anche gli stessi boschi sono frutto di una lunga opera di coltivazione e cura da parte dell’uomo.
Chi ci ha preceduto si è insediato nei territori montani, non privi di insidie e difficoltà dove la morfologia pone evidenti limiti, attraverso un lento processo di stratificazione di esperienze empiriche. Nel corso dei secoli sono state «sperimentate» nuove possibili soluzioni abitative e di sfruttamento della terra per alimentare un’economia di sussistenza. Se quindi per un lungo periodo il risultato di tale fenomeno si è retto sulla ricerca di un necessario equilibrio tra gli effetti della presenza antropica e la possibilità di ottenere le necessarie risorse vitali, con l’avvento del turismo vi è stato un completo ribaltamento del rapporto uomo-ambiente. Il paesaggio è diventato un prodotto ed i territori sono diventati valore economico. Difficile quindi definire oggi un limite allo sfruttamento delle Alpi. Strutture ricettive, seconde case, infrastrutture sciistiche, sistemi di approvvigionamento energetico, sistemi di coltivazione ed allevamento intensivo sono diventate le nostre priorità per il sostegno dell’economia. Le «tradizionali» modalità di sfruttamento dell’ambiente alpino sono diventate invece attività quasi folcloristiche necessarie per garantire un grado di autenticità al «prodotto montagna».
Le recenti crisi ambientale, economica e infine anche sanitaria, ci hanno posto in evidenza in modo drammaticamente inequivocabile i limiti delle nostre possibilità di utilizzo e sfruttamento delle risorse naturali. Ci troviamo quindi ora a un bivio, e siamo consapevoli che serve un cambio di passo. Le Alpi non sono più quel luogo idilliaco frutto di un lungo processo di mitizzazione, ma presentano invece tutte le caratteristiche dei sistemi complessi dove è stato superato il confine di quello che può essere considerato uno sviluppo sostenibile.
Ha ancora senso insistere su un modello di turismo invernale incentrato principalmente sullo sci alpino, con infrastrutture diffuse che però necessitano di un impattante sistema tecnico fatto di reti idrauliche e bacini artificiali di raccolta dell’acqua per assicurare la creazione di neve «programmata»? Quale strategia è possibile individuare per invertire la tendenza di una fruizione mordi e fuggi della montagna, cercando di evidenziare come la lentezza ed il tempo sono condizioni necessarie per l’esperienza di conoscenza e frequentazione di un luogo? Quale può essere il limite tra la necessaria trasformazione di alcune porzioni di territorio per sostenere un’economia che permetta agli abitanti delle «terre alte» di non abbandonare la montagna ma di rimanere per garantire la necessaria manutenzione e cura del paesaggio?
Per stimolare alcune risposte, abbiamo provato a leggere dieci diversi territori appartenenti alle dieci provincie che costituiscono la nostra associazione. Si tratta di territori ritenuti significativi per comprendere come gli attuali usi del paesaggio alpino possano costituire, nel bene e nel male, insegnamenti per costruire nuovi atteggiamenti futuri. Abbiamo scelto valli laterali, non i luoghi più noti e già indagati, proprio per individuare quegli elementi profondi che mettono in luce i nostri segni di appartenenza.
Le immagini proposte permettono molteplici livelli e codici di lettura ed interpretazione. Seguendo una successione tematica, le foto sono volutamente accostate le une alle altre mettendo a confronto temi analoghi sviluppati secondo declinazioni locali. Da tale flusso di immagini emerge una sensazione di spaesamento. Riconosciamo segni, forme, strutture ma allo stesso tempo non riusciamo a collocarle tutte in un luogo conosciuto. Riguardando con maggiore attenzione ci rendiamo conto che pur trattandosi di simili modalità di utilizzo dei territori, emergono quelle minime differenze che costituiscono un patrimonio oggi ancora fondamentale.
Da qui dobbiamo quindi ripartire per individuare nuovi modelli di sviluppo e gestione del territorio, legati alle peculiarità dei luoghi e non banalmente applicando modelli da attuare in qualsiasi posto. É necessario però definire limiti etici e condivisi per mantenere vive le comunità alpine, evitando la perdita di biodiversità e di etnodiversità che porterebbero alla dequalificazione dei paesaggi antropici. Questo necessario cambio di paradigma può essere stimolato dai drammatici segnali che l’emergenza ambientale ed in particolare la più recente emergenza sanitaria ci hanno evidenziato. Ci troviamo infatti in un momento particolare, se infatti da un lato abbiamo la consapevolezza che «nulla sarà come prima», dall’altro lato sentiamo il bisogno di chiudere questa brutta parentesi e ripartire a vivere «come prima». Dobbiamo però cogliere questi segnali come un opportunità, come possibili «acceleratori decisionali». Se un numero considerevole di persone sente la necessità di modificare, sperimentare, migliorare la propria vita sia intesa come spazio privato che come comunità, se allo stesso tempo sente il bisogno di cambiare atteggiamento nei confronti dell’ambiente in cui vive, è questo il momento di intraprendere nuove strade.
Innanzi tutto possiamo immaginare un nuovo e diverso rapporto tra aree metropolitane e «terre alte». Aver sperimentato diverse modalità di lavoro e di spostamento ci ha mostrato come territori ritenuti lontani e marginali, se adeguatamente infrastrutturali (dai trasporti alla fibra) si potrebbero aprire a nuovi scenari. Non si tratta ovviamente di una contrapposizione tra sviluppo urbano concentrato e sistema di insediamento diffuso, ma di un ri-bilanciamento di pesi e misure. É questo un tema di approfondimento culturale, sociale e politico a cui possiamo contribuire con un approccio progettuale.
Ripensiamo quindi lo spazio alpino. Molti possono essere i soggetti da coinvolgere attivamente, dagli amministratori ai semplici cittadini, da chi abita stabilmente la montagna a chi la frequenta solamente per brevi o lunghi periodi. Ridefiniamo le modalità dell’abitare e dell’ospitalità turistica temporanea con sistemi integrati, favorendo un maggiore utilizzo delle seconde case ed evitando ulteriore consumo di suolo. Rivediamo le nostre modalità di utilizzo degli spazi aperti, da quelli urbani a quelli nella natura. Sperimentiamo nuovi modelli di sviluppo che permettano un più equilibrato utilizzo delle risorse e del nostro tempo.
Ciò può avvenire senza rinunciare ad introdurre nuovi segni nel paesaggio ma con la consapevolezza che esso è frutto di un continuo processo dinamico di adattamento. Siamo noi i coautori dello spazio di vita in cui ci dobbiamo riconoscere.
Alberto Winterle _Editoriale TURRIS BABEL 118_ 07|2020