Strategie e dinamiche del cambiamento

Negli ultimi numeri abbiamo cercato di leggere ed interpretare le trasformazioni del territorio attraverso l’architettura. Credo sia ormai evidente che nella nostra provincia di “confine” una fortunata coincidenza di elevata capacità professionale dei progettisti e di sensibile predisposizione della committenza pubblica e privata ha prodotto un tessuto ed un esperienza che sta diventando un riferimento a livello internazionale. La nostra rivista ha tentato di indagare il frutto di queste esperienze attraverso diversi temi progettuali, dall’elemento tecnico e stilistico dei tetti al tema della soglia e della costruzione in pendio, fino alla domanda se esista o meno un’identità dell’architettura sudtirolese. A questo punto però credo sia opportuno porre un’altra domanda: se in Alto Adige c'è una buona architettura, c'è anche una buona città? La somma di tanti edifici di qualità fa un insieme di altrettanta qualità? Con questo numero Turrisbabel vuole estendere lo sguardo dall'architettura all'urbanistica e riportare l’attenzione sulla trasformazione della città contemporanea, proponendosi come piattaforma aperta per il dibattito sulla mutazione urbana del territorio alpino. Prima di occuparci di Bolzano abbiamo pensato di oltrepassare i confini provinciali, indagando quanto succede nelle due città a noi più vicine, ma in realtà crediamo assai poco note per quanto riguarda le trasformazioni in atto: Trento, in questo numero ed Innsbruck successivamente.
Pur nella diversa condizione fisica e sociale, le tre città sono in fase di notevole trasformazione. Basti pensare alla possibile modifica del tracciato ferroviario che, sia a Trento che a Bolzano, potrebbe liberare aree centrali di notevoli dimensioni la cui ridefinizione potrà modificare le relazioni urbane di entrambe. Allo stesso modo la riconversione di alcune aree industriali come la Michelin e l’Italcementi a Trento o l’Alumix a Bolzano aprono nuovi scenari impensabili fino a pochi anni or sono. Un’indagine ed un confronto tra queste diverse esperienze urbane può portare un contributo culturale per un dibattito aperto non solamente alla nostra professione di architetti ma anche all’intera comunità.

Immaginare la città
Vivendo da vicino la città di Trento, personalmente mi riesce difficile capire se esiste all’interno della politica urbanistica un’“idea complessiva” di città. Il contesto fisico del territorio, in cui la città è sorta e si è sviluppata, è chiaro e leggibile mentre risulta più difficile leggere una forma urbana contemporanea, un’“immagine di città” che per ora appare sfuocata. Molte sono le aree oggetto d’intervento, che analizzeremo in questo numero, ma ciò che mi sembra mancare è la capacità di sviluppare una strategia in grado di unire e valorizzare le singole esperienze. Osservando le grandi opere in corso di realizzazione o in fase di progettazione, si ha l’impressione di una città fatta per parti, costituita da una sommatoria di interventi, più o meno virtuosi, che però non dialogano tra loro. Una città che si ispira – volendo usare una metafora cara a Bernardo Secchi – più alla figura del frammento che a quella della continuità. Gli stessi soggetti che attuano gli interventi sembrano parlare lingue diverse. Quali sinergie vi sono, ad esempio, tra le previsioni strategiche relative alle strutture dell’Università e le politiche urbanistiche dell’Amministrazione comunale e provinciale relative all’istruzione? In che rapporto si pongono le grandi aree ex industriali dismesse e le nuove zone commerciali ed industriali della periferia nord di Trento? Quale futuro si immagina per la città come polo culturale e turistico dopo la realizzazione del grande museo della scienza, in relazione ad un contesto territoriale più ampio che non può prescindere da un rapporto diretto con Rovereto e con Bolzano? Numerosi sono i temi aperti, nei quali interveniamo con il nostro contributo, ma che necessitano di un più ampio e partecipato confronto.

Gli strumenti urbanistici
Il piano regolatore, oltre ad essere uno strumento tecnico e legale, è di fatto una grande opportunità politica e culturale per leggere, interpretare e costruire la città. Solo da una “visione” nitida e approfondita è possibile individuare un chiaro obbiettivo futuro e quindi definire correttamente le diverse strategie di intervento. La variante al piano regolatore del 2005 elaborata dall’architetto Joan Busquets sembrava cogliere alcune importanti opportunità che la città offre, definendo una strategia complessiva per la trasformazione di Trento. Negli anni successivi però alcune previsioni sono state di fatto accantonate, come ad esempio l’ormai famosa proposta di interrare la ferrovia, o perseguite solo in parte compromettendo quindi la struttura portante del piano. Le problematiche della città tornano quindi ad essere affrontate singolarmente senza riuscire a sintetizzare un’idea unitaria ed a definire una cornice di riferimento comune. Non a caso per i due progetti più ambiziosi ( il quartiere ex Michelin di Renzo Piano e la biblioteca d’Ateneo di Mario Botta) si è dovuto ricorrere allo strumento della variante o della deroga alle previsioni di piano ed ai suoi parametri urbanistici. Questo dimostra che tali scelte non erano pianificate ma sono state definite dai singoli progettisti ed offerte (o imposte) alla città. I tempi della pianificazione urbanistica e quelli della trasformazione della città devono essere coerenti, senza discontinuità. Pur applicando uno strumento flessibile ed aggiornabile, più adatto alla società contemporanea in continua trasformazione, è necessario definire alcune strategie di riferimento che costituiscono le linee portanti per i futuri interventi. La “struttura” del piano deve prescindere dai soggetti che lo attuano, deve offrire alla città una nuova figura e non la somma di singoli quartieri o, peggio ancora, di singoli edifici.

Le aree in trasformazione
Abbiamo strutturato questa lettura della trasformazione di Trento seguendo due livelli: le aree attualmente in trasformazione o in procinto di essere trasformate, costituite perlopiù da grandi interventi, e le aree di futura riconversione sulle quali non vi sono ancora chiare indicazioni e che quindi costituiscono nuove opportunità.
Le prime appartengono a previsioni urbane e strategiche slegate, la riconversione di alcune grandi aree costituisce di fatto singoli episodi e ridefinisce solo alcuni brani ci città. Il caso più importante ed emblematico, sia per dimensione che per importanza storica, è costituito dal quartiere ex Michelin. La fabbrica dismessa, ad ovest della linea ferroviaria, è stata fino ad ora slegata dal contesto urbano, come succede in qualsiasi città europea a ciò che sta “oltre la ferrovia”. Ciò è ancora più aggravato a Trento, dove l’arrivo del treno ha portato alla scelta di modificare il corso del fiume Adige che lambiva in origine la città, ponendo anch’esso oltre il tracciato ferroviario. Con l’intervento urbano di Renzo Piano il tentativo è stato quindi quello di ridare dignità ad una porzione di città, riavvicinandola al centro ed allo steso tempo diventa l’occasione per ricostituire un rapporto tra la città ed il fiume. E’ quindi a quest’area che la città guarda con particolare interesse, nella speranza di superare sia fisicamente che psicologicamente la “barriera” della ferrovia e di riconquistare un nuovo rapporto con il fiume Adige. Quale prezzo siamo però disposti a pagare? La scelta di costituire un gruppo pubblico/privato per la realizzazione dell’intervento ha di fatto portato ad una gestione privatistica del progetto dove l’Amministrazione comunale è solamente intervenuta nella definizione degli standard urbanistici al fine di ottenere la cessione di una grande superficie destinata a parco ma accollandosi l’onere dell’interramento della strada che corre lungo il fiume. Allo stesso tempo anche la Provincia “sostiene” l’operazione con la realizzazione del grande museo di scienze naturali a fianco del Palazzo delle Albere. Vi è quindi in questa vicenda la sensazione di un bilanciamento costi-benefici sia economici che territoriali che non pende in favore della collettività (Ne abbiamo discusso con Renato Rizzi).
Oltre alle aree già oggetto di trasformazione vi sono, sia all’interno della città che nelle sue immediate vicinanze, alcune aree strategiche che definiamo “nuove opportunità”, la cui riprogettazione può portare nuovi stimoli alla città. Ritengo che la loro dimensione sia ininfluente e che ogni singolo progetto possa sviluppare potenzialità di interesse cittadino. Dalla grande ex fabbrica dell’Italcementi, con l’annesso quartiere di Piedicastello, a spazi pubblici come quello di Piazza Mostra o addirittura singoli edifici come il Palazzo delle Poste. La questione fondamentale è affrontare questi nuovi progetti con una atteggiamento diverso, partendo innanzitutto da una la scala di riferimento cittadina o addirittura territoriale. Ogni intervento scatena di fatto delle conseguenze che devono essere previste e ricondotte in un disegno complessivo. La ricerca di una nuova forma della città deve essere aperta e partecipata. Per questo abbiamo chiesto ad alcune persone, diversamente coinvolte nella vita della città di Trento, un parere sul futuro di queste aree.

Le figure della trasformazione
Anche un singolo progetto, se aperto e condiviso, può essere opportunità di dibattito e di crescita sia per i professionisti coinvolti che per la città. Purtroppo a Trento solo in rari casi si è fatto ricorso allo strumento del concorso di progettazione per le grandi aree oggetto di trasformazione. Dai dati dell’Ordine degli Architetti risulta che negli ultimi dieci anni non sono stati banditi concorsi di architettura da parte del comune di Trento, quasi lo stesso risultato anche per la Provincia che ha bandito solamente il concorso per il nuovo tribunale nel 2005. Si predilige quindi l’incarico diretto o la gara su base economica, mentre sembra sconosciuta la pratica del concorso di progettazione. Inoltre, per le aree più complesse, il committente, pubblico o privato, ha preferito ricorrere ad un incarico diretto ad un professionista «di chiara fama» per velocizzare l’iter progettuale e per tutelarsi da eventuali facili critiche dell’opinione pubblica.
Seguendo quindi una sorta di «colonialismo» progettuale sono stati chiamati direttamente alcuni importanti architetti: il catalano Joan Busquets dal Comune di Trento per redigere il Piano Regolatore Generale; Renzo Piano da Iniziative Urbane per il progetto della ex-Michelin; lo svizzero Mario Botta, che frequenta il Trentino da circa vent’anni ed ha costruito la sede roveretana del Mart (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), a lui l’Università di Trento affida prima il progetto della Facoltà di Giurisprudenza e successivamente il progetto della Nuova Biblioteca d’Ateneo; Vittorio Gregotti che progetta, per conto di privati, un grande intervento sulle aree dismesse di Trento Nord.
Il Trentino non è certo privo di una sua tradizione progettuale moderna (qui sono nati ed hanno lavorato alcuni protagonisti dell’architettura del Novecento: da Adalberto Libera a Luciano Baldessari, da Fortunato Depero a Gino Pollini), né tanto meno privo oggi di risorse professionali adeguate. Non si tratta quindi di invocare un protezionismo che favorisca le sole forze locali, ma neppure di escluderle a priori come di fatto avviene oggi. E’ necessario riportare l’attenzione al progetto mettendo a confronto “tutte” le forze intellettuali disponibili per ripensare Trento.

Alberto Winterle_Editoriale Turrisbabel n83